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Sono maschilista. Ma con giudizio.

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Di Pasquale D’Aiuto, Avvocato, ventisei ottobre ventiventuno Dopo l’assurda crocifissione di questi giorni del mio adorato Prof. Barbero, reo di non aver omaggiato la consueta banalità imperante sulla questione del c.d. gender gap, ho deciso di vuotare il sacco: sì, sono un maschilista. Ma con giudizio. Allora: tutte le storielle sulle donne sono vere. Ad esempio, non sanno fare la svolta a sinistra, figuriamoci parcheggiare; anzi, la guida non è proprio affar loro. Certo, statisticamente provocano meno incidenti ma devo dedurre che riescano a fuggire, sennò non c’è soluzione. Ah, poi pensano soltanto alle scarpe ed alle borse (probabilmente anche alla guida, così si spiegano molte cose): servirebbe una casa intera dedicata agli accessori, e non basterebbe. E si ostinano a non comprendere il calcio: provate a far loro capire il fuorigioco! Io, per ripicca, detesto borse e scarpe e sono un perfetto sportivo da poltrona. Le donne non possono essere chef: quelli veri sono tutti uomini. Infatti io faccio solo il caffè, così la mia si perfeziona. E poi, quanto parlano! Ti pongono problemi che riguardano tempi lontanissimi, tipo la settimana prossima; ma io non so se arrivo vivo a domani… Per non dire del pianoforte, tema a me carissimo: solo noi maschi abbiamo la necessaria vigoria per suonare ad alti livelli (scusate, qui la provocazione la devo proprio sospendere: ascoltate Marta Argerich suonare Bach e poi ditemi. E sì, lo so che c’è Glenn Gould, lo so). Ecco, la scienza mi assolve: il tono della voce delle donne è un trapano per il mio cervello – è dimostrato, vedete qui, ad esempio, https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15978839/ ma anche qui, per un commento interessante: https://www.huffingtonpost.it/.../voce-donne-stanca.... Le nostre madri, mogli, sorelle spendono i soldi della famiglia per gli abiti dei bambini: ma non gliene avevamo comprati una ventina, un lustro fa? Che ci devono fare, con tutte queste tute, queste maglie e questi calzini?! Oh, naturalmente, le donne hanno sempre mal di testa. Dicono che pensano in prospettiva, dicono. Menomale che noi maschi siamo ben saldi sull’oggi. E quanto litigano tra di loro: se accade, c’è da divertirsi! Del resto, il termine “isterica”, non a caso, è riferito soltanto alle donne, poiché hystéra, in greco, significa "ventre, utero" (ma come è bello scriverlo in greco, visto che ho fatto il Classico, vivaddio: ὑστέρα!). E se lo diceva Ippocrate, allora possiamo stare tranquilli. E poi, ci chiedono sempre le stesse cose, magari mentre siamo occupati a non fare quel che ci hanno domandato prima… e, intanto, Osimhen s’invola verso la porta avversaria ed io non ci sono, non-ci-sono, dimenticatevi di me! La verità è che ogni mattina io mi alzo, mi lavo la faccia, vado allo specchio – io, che mi reputo mediamente colto e mediamente sensibile – e mi ripeto: non lo fare. Non farti plagiare da questa società maschilista, che santifica la concorrenza sleale tra i sessi fingendo equità, mentre una donna deve sentirsi in colpa se desidera un figlio, se vuole stare più di tre mesi dopo il parto accanto alla prole, se intende allattare al seno. Un sistema che ciarla di famiglia ma non la favorisce in nessun modo, tanto ci pensano le madri (ed i padri che “aiutano in casa”: ma che vuol dire?! La casa è della famiglia, io aiuto me stesso!); che non tollera la depressione post partum, che non si sforza di comprendere le crisi chimiche che avvengono nei loro corpi; che, invece di affermare: “Sì, uomini e donne sono diversi, ma proprio fisicamente: teniamone conto per una vera parità!”, strombazza: “Viva la parità! Uomini e donne sono uguali!”, e poi chi s’è visto, s’è visto. Però, poi, questa società s’interroga per quale ragione, invece di fare figli, quelle ingrate “rubino” i posti di lavoro agli uomini – con un terzo dello stipendio in meno, però! Io sono un maschilista. Potrei dire pentito, ma sarebbe riduttivo: sono un maschilista che prova ad immedesimarsi. Ma mica ci riesco sempre: ad esempio, vorrei rinchiudere in una torre altissima tutto il gentil sesso a distanza di cento metri da me durante le partite del Napoli. Giusto per un paio d’ore, beninteso. E reclamo il mio sacrosanto diritto di fare battute sui tic e le nevrosi femminili! Ma, al contempo, devo ammettere che, nei miei geni, drogati da millenni di spaventosa disparità di genere, qualcosa mi suggerisce cose del tipo che sarebbe un mio diritto naturale trovare il polpettone e le pantofole pronte quando torno a casa, mia moglie perfettamente truccata e pettinata e i bambini a letto, come in un film degli anni cinquanta. E pazienza se non c’è la doppia entrata e se accanto avrò una persona insoddisfatta: vuoi mettere, il polpettone?! Però io, almeno, lo so che nasco maschilista, e non è mica colpa dei miei genitori. Riconosco che devo fare uno sforzo, provo ad essere uno di quei “consapevoli” che invocava Barbero; soprattutto, ho capito – ed è questo il punto dolente – che noi uomini dobbiamo tutti smetterla di fingere di essere naturalmente paritari ed ecumenici, ammettere che nasciamo maschilisti, fare qualcosa di concreto per ribellarci a questa impronta genetica e cambiare le cose, a partire dagli atti più semplici. Il primo dei quali è la consapevolezza. Senza rinunciare alle battute, però. Quelle, lasciatemele. Sennò rinuncio.

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